Sempre, dopo il dopo viene il tardi con quella lingua di rosso illogico; parole che parlano di se stesse, alfabeto occulto che lascia intendere l'esilio nell'angolo più scuro della quiete, dove sento il rumore dei dolori, i passi degli assenti vivificati il cammino degli sconosciuti.
Era una bella bambina, aveva undici anni Non scriveva poesie ma sapeva che i folletti si nascondono nei tronchi degli alberi.
cercava con gli occhi una fata, vide, invece, le scarpe rosse...
con una mano le coprì la bocca, la tenne giù con il suo peso ed entrò nel suo corpo.
Le scarpe rosse la inghiottirono; imparò ad amarle come una lumaca ama la propria casa ma le ginocchia sono ancora di ghiaccio.
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Consacriamo la coppa di sangue caldo in acido di bestemmia per gli strati d'ossa innocenti, piccole mani inchiodate alle croci appuntate in cielo da carnefici mai staccati dal capezzolo dell'ignominia
Di te ho amato la spirale del potere, ora neve finta in una sfera di vetro.
se fossi stata un telaio e tu un filo caduto avrei sentito l'eco di tutti i poeti come una grossa fune di voci intrecciate ma tu sei saldo all'ordito per il nome segreto del desiderio fluido nei respiri, fermo nelle scarpe logore e sconfitte.
pochi versi bastano per nascondermi dentro un coltello